TITOLO: Curre curre guagliò. Storie dei 99 Posse
AUTORE: Rosario Dello Iacovo
EDITORE: Baldini e Castoldi
PREZZO: 16,00 €
I 99 Posse sono stati qualcosa di diverso e probabilmente unico nel panorama della musica nostrana. Hanno rappresentato il sound meticciato che profumava tanto di mediterraneo e vasci quanto di reggae, ragamuffin e cambiamento. Un meltin pot in musica nato sull’onda delle posse, della Pantera e di una sinistra antagonista che improvvisamente usciva dalla nicchia dell’area di provenienza e invadeva il belpaese.
Assalti Frontali, Africa Unite, Almamegretta, Mau Mau, Casinò Royale, Sangue Misto, Banda Bassotti, giusto per citare i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono molti altri. Tutte band emerse in piena sintonia con lo sviluppo dei movimenti dei centri sociali e della sinistra extraparlamentare, tutti gruppi che proponevano tematiche legate alla controinformazione, all’impegno e ai principi della cittadinanza attiva.
Fenomeni nati nell’underground più ground improvvisamente balzati in classifica, con concerti seguiti in tutto lo stivale e video passati dall’allora nascente MTV Italia. Un bel fermento davvero per chi, come me, ebbe la fortuna di vivere quella stralunata primavera. Una primavera anche un po’ ipocrita, se vogliamo, visto che di pari passo ai nobili messaggi proposti si era scatenata la guerra al venduto, cioè a chi al momento aveva più successo. Quindi di fatto eri caro al movimento finché ti auto producevi e venivano a vederti quattro gatti ma potevi immediatamente divenire inviso nel momento in cui i quattro gatti diventavano otto, oppure firmavi per qualche ‘diavolo’ di major. Cose già viste e vecchie come la musica (capitarono qualche anno prima anche in Francia quando gruppi come Mano Negra, Les Negresses Vertes e Satelites si accasarono presso etichette importanti) ma assai nuove per l’Italia dell’epoca
Alcuni di questi gruppi negli anni sono poi scomparsi, altri hanno lasciato l’attivismo in cantina per dedicarsi alla più fruttuosa strada del pop (Neffa e non solo lui), altri ancora sono rimasti duri e puri e continuano tutt’oggi la propria attività artistica, seppur con tutte le difficoltà figlie della rivoluzione di Napster e del deserto culturale in cui il paese è piombato dopo la formazione della tanto agognata Europa dei capitali.
A quest’ultima categoria, quella dei fedeli sempre e comunque alla linea, appartengono senza ombra di dubbio i 99 Posse.
Capitanati dall’enorme Luca “Zulu” Persico – che più che un cantante sembra un heel wrestler di quelli che commentano Posa e Franchini alla televisione – imbelliti dalla voce un po’ bjorkeska della bella Meg, sporcati dalle sapienti forchettate dub di Marco Messina e reggaezzati dal basso di Massimo Jovine, hanno rappresentato forse la sintesi più azzeccata del binomio musica-dissenso di quei difficili ma ancora vitali anni 90. Dischi di successo, cartoline zapatiste, lotte, manifestazioni, viaggi in Palestina, problemi personali e liti fino allo scioglimento, avvenuto ufficialmente nel 2004 anche se da almeno tre anni la band non era più da considerarsi tale. Finita ufficiosamente nel 2001, l’anno del G8, dell’11 settembre e dell’invasione dell’Afghanistan. L’anno nero in cui il potere ha mostrato muscoli e arroganza, spazzando via ogni voce altra, etichettando il dissenso, qualsiasi dissenso, sotto la voce terrorismo.
Un anno scioccante, come scioccante è stata la fine dei 99 Posse per i suoi membri, andati avanti con progetti più o meno riusciti, lotte personali contro i propri fantasmi e un trionfale ritorno nel 2012 con l’ album Cattivi guaglioni.
In questo gran bel libro, il giornalista Rosario Dello Iacovo – che pur non suonando alcun strumento è a tutti gli effetti trave portante del progetto, avendo collaborato attivamente dall’inizio, fra organizzazione dei live, rapporti con i media e la scrittura di alcuni testi di celebri canzoni del repertorio – tira le fila di una storia spessa, cruda ma estremamente affascinante. La storia di un gruppo che si afferma minimizzando i compromessi e massimizzando le proprie convinzioni, convinzioni che potranno essere o non essere condivise, ma a cui va comunque riconosciuto il plauso dell’onestà ideologica e intellettuale.
Il testo si snoda attraverso quasi tutte le voci che hanno fatto parte o comunque collaborato al fenomeno 99 Posse, da Zulu a Messina, passando per Massimo Jovine, Sacha Ricci, il rapper Speaker Cenzou, Sergio Maglietta dei Bisca, Valerio Jovine e ovviamente Rosario. Peccato per l’assenza di Meg e del suo punto di vista, un aspetto certamente non trascurabile per gli amanti del gruppo.
Uno narrazione corale a più voci, sullo stile del monumentale Please Kill Me di Gillian McCain e Legs McNeil – libro manifesto sul movimento punk – ma anche dell’italiano Trent’Anni In Levare, scritto qualche anno fa dagli Africa Unite insieme a F.T.Sandman ed Episch Porzioni.
Fra arresti coatti, pestaggi da parte dei poliziotti, viaggi di fortuna, eccessi, sangue, sudore e ancora sangue, emerge un senso di pericolo e ribellione che fa di Curre Curre Guagliò una saga ‘sinistra’ di giovani in lotta per un mondo a misura d’uomo tout court e non solo cucito addosso all’ uomo di potere.
Protagonisti di questa rivoltosa odissea in musica non sono comunque gli artisti coinvolti ma la città di Napoli, specchio inconsapevole e in parte innocente di quell’effimera eppur sensibile baldracca chiamata Italia. Una signora sviscerata e vissuta con impegno nei suoi anni di massimo disimpegno, gli ottanta, anni in cui un certo underground fedele alla linea ha il merito di afferrarla per la collottola e riportarla sui binari della lotta e dell’ultimo rigurgito sociale dei novanta, prima della definitiva morte ‘delle piazze’ avvenuta dopo il G8 di Genova.
Poi il mondo libero è stato costretto alla resa, la follia ha vinto, l’ideale è morto e a noi del film di quegli anni restano soltanto poche manciate di belle canzoni, le prediche della buona anima di Don Gallo e l’indelebile immagine di Carlo Giuliani a terra come titolo di coda.
“Noi su quel treno non vogliamo salire, non vogliamo mangiare pomodori geneticamente modificati, non vogliamo frontiere chiuse dietro la menzogna e retorica del libero mercato, che vuole la massima libertà di circolazione delle merci e delle materie prime, ma pretende di reprimere quella degli esseri umani” scrive Marco Messina in un passaggio del libro. E certamente ha ragione.
E allora Curre curre guagliò, che c’è ancora un sacco di strada da fare. La domanda che sorge spontanea è, ahimé, una sola: dove sono le band di ventenni che fanno denuncia sociale a 360 gradi e li incontri tanto nei palazzetti quanto in manifestazione? Dove sono i 99 Posse o gli Assalti Frontali del nuovo millennio? Non ditemi che gli hanno sostituiti i Club Dogo. Sarebbe troppo triste.
Anche se, è questo bisogna ammetterlo, l’unico fin’ora che è riuscito a ‘farsi la politica’ è proprio Gué Pequeno…
C’ paìs emmerd.
P.G.