Sanremo fenice impertinente! Diverse volte nel corso delle 65 edizioni messe in piedi si è cantato il “de profundis”, fatto il funerale a questa manifestazione che non ha pari al mondo, né come longevità né come ascolti. Perché se anche i Grammy’s o i vari awards in giro per il mondo sono comunque a livello di ascolti globali, sono tutti comunque episodi che si consumano in una serata e non certo in una settimana. Ma noi italiani anziché difendere le nostre unicità ci divertiamo ad attaccarle, a giocare di detrazione. Stavolta la messa funebre è durata il tempo di una sola annata visto che quest’anno critici e detrattori, già vestiti come sacerdoti pronti all’estrema unzione, hanno dovuto ripiegare in fretta nelle loro tane, stando attenti a tappare ogni pertugio possibile, perché l’uomo medio della tv, Carlo Conti, quello che rassicura con ritmo e forbitezze, nell’incontrarli potrebbe essere meno forbito del solito e mandarceli per direttissima; dove? Fate voi.
Si promosso Conti, che ricorderemo probabilmente non come quello con la conduzione più originale, ma di sicuro come quello più svelto della storia, concependo uno spettacolo veloce, ritmato, con pochissime melasse come le marchette a fiction e programmi disparati che non ha di certo voluto lui.
Quel che ha voluto lui ha invece funzionato, come le tre ragazze a contorno e che in quanto tali ben si sono adattate la parte. Forse era Emma quella da cui ci si aspettava di più, lei che in genere è sempre così presente e forte sul palco, si è invece ritrovata intimidita, un filo annoiata dai continui attacchi per altro inutili. Emma camionista? Emma calciatrice? Emma cafona terrona? Allora devo preoccuparmi, perché vuol dire che non son normale nemmeno io, perché la trovo bellissima.
Arisa adempie al suo compito, ovvero la svampita simpatica, quella con cui nascono siparietti involontari e pertanto esilaranti. In queste cinque serate ne è successo più di uno, complice anche la rovinosa caduta per le scale che la cristallina vocalist racconta di aver preso. Giusta nella parte anche Rocio. Quale parte? La bellissima stangona dalle gambe lunghe quanto la Sanremo/Bordighera, su cui i vestiti delle grandi maisons fanno figura. Anzi Rocio rivela anche una discreta proprietà di linguaggio che non ha nulla da invidiare ad una Belen in Italia da molto più tempo. Semmai sono i testi scritti per lei ed anche le altre due che sono proprio poverini. I vestiti fanno figura su Rocio mentre per le altre due…. ma chi le ha vestite? Ecco, se devo criticare una cosa critico questa.
I comici sono stati l’unico neo di questa edizione del Festival. La partenza di Siani, non ha regalato magie, quelle che era solito regalare Troisi spesso termine improprio di paragone per il comico partenopeo. Niente magie ma tante polemiche per l’infelice battuta sul tondo bambino che dalla prima fila dell’Ariston si era lanciato per esser stretto la mano. Non l’avesse mai fatto lui di alzarsi, Siani di apostrofarne suddette forme abbondanti. Un punto peggio fa Pintus la sera successiva. Eppure ha fatto 150 date in giro per l’Italia e dicono che faccia ridere. Durante il suo quarto d’ora io mi giravo i pollici e so di colleghi che in sala stampa lì a Sanremo giocavano allo schiaffo del soldato per tenersi svegli. Le cose migliorano decisamente con Luca & Paolo che facendo alcuni sketch molto delicati (il matrimonio gay e i famosi coccodrilli sugli artisti scomparsi) sono riusciti a rimanere in piedi sul filo, portando a casa risate che non sono state a denti stretti e meglio ancora Virginia Raffaele e Rocco Tanica, con la prima esilarante nella Vanoni più riuscita della storia ed il secondo come panchinaro di lusso che entra e fa goal, anche se a mezzanotte inoltrata.
Una scommessa vinta è invece stata la gara dei giovani piazzata ad inizio serata. Sti poveretti che già passavano forche caudine di vario genere ovvero trovare chi ti produce, chi ti iscrive e poi selezioni, o attraverso Area Sanremo o attraverso commissione, per approdare solo in otto sul palco, tra circa 7/800 iscritti totali ed essere sbattuti pure dopo la mezzanotte veramente era cosa oltre che ingiusta anche sgradevole. Adesso invece riflettori puntati e successo di ascolti che arride anche a loro, i giovani. Il ventaglio di proposte è vario e si va dal pop raffinato di Giovanni Caccamo a quello brioso e pieno d’impeto di Enrico Nigiotti, passando per il rock schizzato dei Kutso, il jazzy di Serena Brancale, l’introspezione di Amara, la solarità di Rakele, il soul di Chanty ed il rap di Kaligola. La spunta il viso pulito di Caccamo con Ritornerò da te; vittoria dedicata al padre che non c’è più e non solo. Il brano vince anche il premio sala stampa radio/tv e quello della Critica intitolato a Mia Martini. Non è una vittoria che arriva a sorpresa visto che è quello meglio prodotto, quello più ammanicato, (scrive anche per Malika), quello che avrà meno difficoltà a proseguire anche se c’è da scommettere che saranno diversi i ragazzi di cui sentiremo ancora parlare. Anche per il giovanissimo Kaligola, appena diciassettenne, arriva un premio, quello di miglior testo, intitolato a Sergio Bardotti.
Il capitolo ospiti meriterebbe un’arringa a parte, ma per ragioni di brevità mi limiterò a rimarcare la contrarietà ai superospiti italiani. Anche se sono la serie A della nostra musica, vorrà dire che si fa un girone solo per loro, però venire solo per meri scopi commerciali, sinceramente…. Detto questo, benissimo Tiziano Ferro con una performance degna di nota, un po’ meno Biagio Antonacci, senza calzini e senza più le note necessarie per le sue canzoni, anche se l’omaggio sentito a Pino Daniele lo ha in parte riscattato e male anche Gianna Nannini capace non solo di non saper proporre altro da Sei nell’anima in una carriera trentacinquennale e farlo oltre tutto anche molto male, partecipando più che a Sanremo al festival della stecca e dell’errore di battuta. Con gli stessi problemi i ritrovati Al Bano & Romina, fuori tempo su Cara terra mia già ignobile nel 1989, figuriamoci oggi e con tali problemi, meglio sicuramente per Ci sarà e Felicità. In questo caso però vince la voglia di rivederli insieme tale che, raccontarvi di questi errori, è solo enfasi giornalistica e diritto di cronaca.
Gli stranieri da Ed Sheeran, ai ritrovati Spandau Ballet, passando per gli occhi belli di Marlon Roudette, la voglia di battere i piedini con The Avener, gli sfortunati Saint Motel a cui non andava il microfono, dando vita ad una sorta di gag da palco, che meriterebbe menzione speciale ai Nuovi Mostri di Striscia, fino alla chiacchieratissima ma al quanto inutile Conchita Wurst, hanno tutti fatto la loro figura e, cosa principale, cantato tutti dal vivo.
Il mondo dei big in gara, definito anzitempo un birignao di cuore e amore, mette via invece una sonora vittoria in termini di orecchiabilità. Sono tante difatti brani che la gente già canticchia, tanto che nella volata finale per la vittoria, non erano le solite 2, massimo 3, canzoni a concorrere, ma in diverse. Vince ciò che forse più si cercava, ovvero il nazionalpopolare con i tre ragazzotti de Il Volo, già famosi in tutto il mondo e che adesso andranno a sbancare anche l’Eurovision come da possibilità regolamentare. E figurati se i tre abdicano. E che son bravi è vero vero, che trascinano la platea pure, solo che fa quasi effetto orticaria sentire un testo così banale, trionfo di frasi fatte che sarebbero state fuori tempo massimo persino per Claudio Villa nel 1963. Ma va così e si sa, chi strappa gli applausi in sala prende il pass per i voti alti dalle giurie e dal pubblico televotante.
Benissimo Nek unico superbig, tornato al Festival a portarsi a casa un lodevole piazzamento (2°), grazie all’avere osato uno stile diverso dal suo solito, con cassa battente capace di svegliare le mummie dell’Ariston, molto partecipi quest’anno, e di entrare nei cuori dei più giovani a casa. Gli altri 2 superbig di questa edizione vengono invece trucidati dalle giurie, ma se per Raf c’è davvero da indignarsi, vista l’ottima canzone, l’impeccabile linea melodica marchio di fabbrica del suo raffinato pop, e le condizioni con cui è arrivato sul palco ovvero una fortissima forma di bronchite con cui cantare è davvero cosa impossibile, per l’altra Lara Fabian, la star mondiale che si piega alle logiche del nostro festival, pur di esserci, la pecca è stata una canzone che definire debole è poco, che esce senza nemmeno essere stata spolverata da ripostigli autorali chiusi nel 1994. Non basta la voce, in alcuni casi davvero no. Irene Grandi, altro nome importante si ferma a metà con il suo risultato, solo dodicesima. Il brano è buono e molto sentito dalla sua interprete, ma non tutti hanno capito questo passaggio improvviso da ragazzaccia del pop a signora col filo di perle ed il mezzo tacco. Per carità lei non ha nessuno dei due, ma da quell’idea.
Terza quindi arriva Malika Ayane, che la spunta su un manipolo di sedicenti fanciulle del nostro pop meritatamente, anche per diritti acquisiti con una carriera più centrata ed una finezza di fondo alla base del suo repertorio. Batte Annalisa, quarta, che probabilmente con questo Festival conquista il premio “Miglior interprete femminile dei brani di Kekko Silvestre dei Modà”, quinta Chiara che è sembrata a tutti più sveglia quest’anno con la sua Straordinario che tutti cantano ma di cui l’inciso ricorda pericolosamente le strofe di Forse di Pupo. Solo nona invece Nina Zilli, unica sulla carta in grado di sgambettare l’Ayane e che ha fornito tre prove live sempre sicure ed applauditissime. Quattordicesima invece la Atzei, quella che tutti ha definito la miracolata da San Kekko Modaiolo, può esser decisamente soddisfatta. Oggi è ufficialmente una big, grazie a questa settimana vista da milioni di telespettatori, ha un brano passionale che la gente ricorderà e di cui non è escluso il successo e col passaggio del turno la penultima sera le è stata perdonata persino una clamorosa stonatura sull’acuto della sua Il solo al mondo. Più che stonatura si è trattato di un suono talmente brutto che i cani si sono comportati come con i botti a Capodanno, si sono andati a nascondere sotto il tavolo. Alla gente non è interessato e l’ha preferita ad Anna Tatangelo, invece perfetta vocalmente, stilosa con il suo look largamente il più elegante del festival, bellissima sena pari in questa edizione. Troppo signora però, troppo costruita dicono, ma sinceramente mai come quest’anno l’ho trovata molto più rilassata e con una canzone si nella media, ma non certo orrenda come Essere una donna o Il mio amico con cui è arrivata ai primi posti. Misteri del pubblico votante.
Dopo il podio invece per i maschietti risiede in Marco Masini il piazzamento migliore (6°), lui che si è riappropriato dell’affetto della gente, che proprio come Sanremo ogni tanto muore e poi rinasce. Ottavo invece Gianluca Grignani che in realtà ha scalato posizioni su posizioni, grazie alle prestazioni in crescita durante la settimana del suo bel pezzo, di cui però la prima sera nessuno aveva capito una parola. Britti è undicesimo senza scaldare mai troppo il pubblico in sala e nemmeno noi a casa che vorremmo sentirlo fare brani più suonati e meno cantati… che non se lo può permettere. La mini sfida hip hop vede Nesli battere Moreno di misura (13° a 15°). I due si sono battibeccati a distanza, ma alla fine il cambiamento cantautorale di Nesli è stato capito e sinceramente ci piace. Premio eleganza comunque ad entrambi, davvero molto belli nei loro look.
I delusi sono quindi i favoriti della vigilia Dear Jack, che pagano una canzone davvero innocua, loro che avrebbero potuto batter cassa in questo Festival si son trovati solo settimi. Venderanno comunque, ma l’occasione è sprecata. Lorenzo Fragola invece se ne sbatte del decimo posto. Questo passaggio sanremese serviva solo a farlo conoscere a chi non ha Sky e quindi non ha seguito la sua stravittoria ad X Factor. Il singolo è già tra i più venduti e quindi la delusione è solo per il piazzamento, non certo per i risultati. Biggio e Mandelli forse speravano nel fattore simpatia o forse non speravano in nulla, tanto che non hanno nemmeno un disco da far uscire. Che son venuti a fare allora? Non era meglio prendere un artista che aveva un disco ed un tour in partenza? Misteri su questa inutile scelta.
E siamo ai saluti finali, dopo questo riassunto appassionato di una settimana in cui noi italiani parliamo meno di Renzi e di Salvini, dell’Isis e di processi per cose traculente, dell’imperante calcio e delle sue magagne, per cedere invece all’attività ludica più bella di tutte, la musica. C’è la possibilità che alcune di queste canzoni, per quanto popolari, ce le porteremo dietro per tanto. È andato tutto talmente bene che già la Rai vorrebbe un Conti bis. Se fossi in lui ci penserei bene che le seconde tornate non sono andate mai bene a nessuno. Bisognerebbe seguire l’esempio di Bonolis, ovvero una volta ogni tanto. Così il successo è sicuro garantito.
Sanremo saluta. Concedetevi un paio di settimane di pausa che tanto da Marzo si inizierà a parlare già dell’edizione 2016.