3 Luglio 2020
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3 Luglio 2020

TESTO & CONTESTO SPRITZ CAMPARI: IL TORMENTONE DI MIETTA CI INSEGNA A DIRE “VATTENE, AMORE” CON STILE

Il nostro Prof di latino, Davide Misiano, analizza per noi il nuovo brano della cantante e ne coglie ogni sfumatura

Mietta Spritz Campari
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Mietta Spritz Campari, il tormentone da aperitivo in spiaggia analizzato dal nostro Prof di latino.

Mancava ancora il tormentone da aperitivo. Quello da sorseggiare in spiaggia al tramonto, muovendo la testa a tempo per mettere in fuga pensieri scomodi e affidarsi alla leggerezza delle cose.

Così Mietta ci insegna a sublimare in uno Spritz Campari la scelta di porre fine a un amore ormai logoro. Il testo è un proclama di autodeterminazione femminile: come dire ’sti cazzi a una storia che non funziona e ricominciare da sé.

Non c’è la conquestio, il lamento della donna abbandonata, perché è lei ad abbandonare, anche con un certo stile! Non c’è il malinconico ripiegamento che la musica leggera italiana consuetamente riferisce alle donne, anche quando esse abbiano scelto di lasciare.

Nelle canzoni le donne lasciano perché costrette, perché tradite, perché trascurate, perché in qualche modo ferite. Mietta lascia perché la storia è finita e ci risparmia pure il “sarai sempre nel mio cuore”. No, dà il benservito e dimentica, sempre con stile!

Così lo slancio con cui questa donna afferma di saper andare oltre risuona come liberatorio, per tutte le volte che abbiamo scelto lo Spritz Campari non per affogare un dolore, ma per gioire di esserci liberati di una zavorra.

Anche questo testo, scritto da Karin Amadori, Valerio Carboni e Vincenza Casati (già autori di Milano è dove mi sono persa e Cloro), parla di una donna ‘intera’, che non ha bisogno di essere politicamente corretta, che non si nega una parola storta e una nota storta.

Niente di troppo impegnato, niente di femminista. Ma qualcosa di molto femminile.

Una donna che si racconta con parole secche e nude, finalmente depurate da ogni accorgimento di maniera.

MIETTA, SPRITZ CAMPARI: TESTO

La canzone inizia all’insegna della numerologia.

Tre, numero perfetto
Ma a te chi te l’ha detto
che pensi solo al sesso

Tredici, che sia maledetto
Che sia maledetto
Che sia maledetto

Il diciassette è meglio stare a casa
Ma a casa ci sei tu
e allora me ne vado via

Otto, a te piaceva sopra
a me piaceva sotto.

I numeri offrono chiaramente la possibilità di un gioco ritmico e retorico insieme, che fa tanto indie.

Mi sottraggo a ogni interpretazione cabalistica, pertanto, e mi limito a ricostruire una dinamica di coppia in crisi: quel “tre” con riferimento all’interesse monotematico dell’uomo al sesso insinua persino il sospetto di corna.

Lei adesso non vuole più vederlo; sembra però che in passato la loro intesa fosse niente male (stando ai loro gusti in fatto di posizioni!).

Prima del ritornello si chiarisce il motivo della fine: l’incomunicabilità è stato il vero problema, non certo la sfortuna. E lei glielo rivela senza troppa speculazione filosofica: “È che noi non ci capiamo proprio”.

Il ritornello è la risposta a una domanda poco tempestiva: solo adesso lui le chiede cosa voglia, forse nel tentativo di recuperare l’irrimediabile. Lei risponde un po’ alla Fallon Carrington di Dynasty, con una punta di cinismo che fa molto chic.

Voglio solo uno Spritz Campari
Oppure mille paia di occhiali,
uno per ogni volta che vorrei
non guardarti più

Vorrei che sparissi, gli dice in buona sostanza, e non credere che mi crogiolerò disperatamente nel ricordo, perché non sei così memorabile. E qui scappa la citazione delle citazioni:

Non è vero che mi rimani
in testa come le canzoni
Come quelle che ascolti
soltanto una volta
e poi non le scordi più
Tipo quella là che fa
Du du da da da da

Non sei immortale come il “Trottolino amoroso” che mi si è appiccicato addosso per sempre, ma intanto Vattene, amore, gli dice Mietta.

Nella seconda strofa tornano i numeri e il sospetto di corna:

Sei, non so più chi sei
Se lo volessi sai
potrei chiedere a lei

Le suggestioni che seguono, a onor del vero, hanno un sapore un po’ più amaro. La donna che lascia sembra per un attimo analizzare lucidamente il fallimento: ritornano i riferimenti all’intesa sessuale (“Sette, come le meraviglie, come le tue spalle…”, “ A me piaceva sopra, a te piaceva sotto”), ma c’è una consapevolezza della frattura, del momento in cui hanno smesso di guardarsi, in cui il disco si è rotto.

Anche il pre-ritornello, variato rispetto al primo, tradisce risentimento, malcelato rimpianto:

Se non ha funzionato che ne sai
di tutti i posti in cui non siamo stati,
i messaggi e i sogni mai scambiati
Mi chiedi: “Cosa vuoi?”

Così, quando lei risponde “Voglio solo uno Spritz Campari” la seconda volta, non escludiamo che nella sua ostentata disinvoltura ci sia quella crudeltà che ha un po’ il sapore della vendetta.

D’altronde, nello special lei stessa riconosce che certe domande, oggi senza risposta, avrebbe voluto sentirsele rivolgere in passato.

Ah, mi chiedi solo adesso “cosa vuoi?”
Ma prima tu non me l’hai chiesto mai

Confesso che io amo leggere anche questa frase con un’intonazione sarcastica, piuttosto che malinconica. Della serie: “Ciccio, potevi ricordarti prima!”.

Ma il dubbio è legittimo: questa donna riconosce l’inettitudine di quest’uomo e se ne libera o pensa che sia uno stronzo e lo vorrebbe eliminare da ogni visuale?

In ogni caso, con uno Spritz Campari anche le corna sembrano più leggere.

MIETTA, SPRITZ CAMPARI: CONTESTO E SCRUTINIO FINALE

Una donna decide la fine di un amore, lo cancella con un colpo di spugna o meglio con uno Spritz Campari. Risolve il passato con un “non ci capiamo proprio” e, nelle sue ultime parole, non manca di sminuire l’importanza di quel rapporto, con la sincerità spietata di chi vola già oltre quando ne ha passate ben troppe.

Non ho intenzione di assegnare al testo uno spessore concettuale che non intende avere. Il pezzo vuole essere estivo e non fa nulla per negarlo; inserisce anche, se vogliamo, un rimando pubblicitario facile, che potrebbe rispondere a precise ragioni di marketing.

Il testo è sostanzialmente disimpegnato, quotidiano, ma non per questo vuoto.

Per intenderci, non è certo “Ahi, papi, non mi paghi l’affitto / Vogliamo fuggire e aprire un bar solo Mojito / Dico, non ci sono stelle sul soffitto / Mamma lo diceva sei carino ma non ricco”, la cui vuotezza supera persino le aspettative di frivolezza che legittimamente proiettiamo sui pezzi che servono solo a farci muovere il c**o.

Vanitas vanitatum. Una bruttezza che non merita neppure la fatica di un twerk. Quanto sarebbe più nobile, e persino poetico, dichiarare di cantare il niente!

Mentre Elettra Lamborghini pensa di aver scritto l’inno di “un’estate girl power” e noi ci apprestiamo a essere inclusi da lei tra i “critici da sagra della salsiccia”, arriva Mietta a dirci cosa sia il “femminile”, con un progetto che conferma ancora il suo coraggio di esporsi, di mutare, di dire qualcosa anche nel cantare “du du da da da”.

Anzi in questo brano ci ricanta “du du da da da” con una voce diversa, con quell’autoironia che non esclude la sapiente frecciatina ai denigratori snob del pezzo di Minghi. Perché si può essere leggeri, senza essere vacui: “leggeri come un uccello e non come una piuma”, diceva Calvino nelle Lezioni Americane, citando Paul Valéry.

Spritz Campari si inserisce, quindi, in un progetto che ha una cifra: la nuova Mietta, da Milano è dove mi sono persa a qui, appare riconoscibile anche se un po’ scomposta, con le sue incoerenze e le sue inesattezze, molto più umane e affascinanti. Persino erotiche.

È questo il girl power, non “i soldi di papi”. Quelli, forse, possono servire alle classifiche!