Tu sei Fasma è il manifesto artistico con cui Fasma lancia il suo secondo album a quasi un mese dal Festival.
Lo avevo già notato tra le Nuove proposte di Sanremo 2020. Non per un testo particolarmente acuto, lo confesso, ma per la genuinità del suo canto.
Mi avevano intenerito il tremore della mano e la sudorazione in eccesso. E mi aveva conquistato la sua ingenuità, inusuale in un cantautore rap. Un rapper senza rabbia, almeno in quella canzone. Senza rabbia ma appassionato, con l’urgenza di dire e di rappresentare.
Speravo fosse la cifra espressiva di questo giovanissimo ragazzo che ha scelto Fasma come nome d’arte, forse senza neanche sapere che in greco phasma significa “apparizione, visione”, persino “prodigio”, nella sua accezione più positiva, o “fantasma”.
Non lo sa, ne sono certo. Nelle interviste riconduce il suo pseudonimo a un vocabolo latino phasma, senza considerare che in latino è solo la traslitterazione di una parola greca.
Per lui phasma è il fantasma, lo sento dire, la parte celata di noi che ha solo l’arma della parola, “qualcosa che si fa sentire ma non lo vedi”. Invece phasma è ciò che appare, che si manifesta anche violando le leggi della corporeità, dalla radice del verbo greco phainô.
Ciò che è phasma si vede e fa vedere anche oltre, assumendo persino le sembianze di un presagio, un segno. Un’epifania.
Ieri mi imbatto in Tu sei Fasma, non un singolo ma una dichiarazione di intenti che introduce l’album e che l’artista ha rilasciato su Youtube con un video-lyrics. Ascolto questo manifesto e penso: il ragazzo non lo sa, ma lui ha il potere dell’apparizione.
Una visione consolatoria in un universo giovanile che troppo spesso ci respinge con la sua rabbia senza canali.
TESTO E CONTESTO: tu sei FASMA
Le parole di questa traccia credo abbiano un valore positivo anche al di là del progetto artistico che esse veicolano.
L’artista spiega che Fasma è stato, sin dall’adolescenza, una strategia per assicurare a sé stesso una possibilità di parola che sentiva negata; quindi passa ad agganciare l’ascoltatore con quella che può sembrare una ruffiana captatio benevolentiae:
“Ho sempre saputo di non essere l’unico ad avere bisogno di esprimersi, ma sento di essere uno dei pochi fortunati ad aver trovato una maniera per farlo.”
Invece, egli inizia a costruire, maglia dopo maglia, una rete di incontro con i suoi ascoltatori, invitandoli a pensare a Fasma come un’occasione concepita anche per loro:
“Voglio che quando pensiate a Fasma, pensiate ad un’emozione, ad una sensazione, a voi, alla voglia di riscatto. Perché, secondo me, c’è un Fasma dentro ognuno di noi e sta aspettando di trovare la propria maniera per emergere”.
Ecco che Fasma non è più una maschera. È un’emersione, la possibilità di venire fuori. Una rete che ha creato il poeta, per garantire il riscatto di tutti: la libertà di essere e di dire.
In questa libertà siamo tutti uniti. Nel nome di questa libertà Fasma invita a sognare tenacemente, a sentire tenacemente, a lottare tenacemente “per essere sempre una versione migliore” di sé stessi.
Si può essere migliori solo se si ha qualcosa in cui credere, solo se si intravede una possibilità di cambiamento, solo se non ci si arrende. Si deve essere migliori, ci dice Fasma, anche per gli altri, perché “il tuo miglioramento sarà il mio” e perché “nell’individuo risiede la collettività”. E la rete, il mondo, ha bisogno solo di persone che “vedono” un cambiamento.
Un individualismo collettivista o un collettivismo individualista insomma: partire da noi per arrivare al mondo, guardare dentro noi senza smettere mai di guardare il mondo, ancorare i nostri bisogni ai bisogni del mondo.
È un messaggio che apre non solo alla libertà del singolo, ma anche all’accettazione degli altri e alla responsabilità verso gli altri.
È abile Fasma nello stringere un patto con i suoi fan, nel generare empatia. Fasma sono io, ma sei anche tu. Sei tu e sono io. Fasma siamo noi: una “social catena”.
Non lo sa neppure lui forse, cosa stia facendo; ne abbiamo il sospetto quando leggiamo altri testi in cui non manca di indugiare nei cliché del genere.
Ma, di tanto in tanto, nell’album troviamo altri assaggi di questa straordinaria capacità di emergere come una visione, di lanciare un seme di positività. Un granello di costruzione in questo mondo di teen che spesso hanno smania di distruggere.
Istintivamente direi che Fasma dovrebbe conoscere più a fondo questo suo potere e ripulire la sua scrittura dagli stereotipi.
Ma poi arrivo a pensare che proprio la sua inconsapevolezza lo fa apparire più interessante: un “fantasma” con un piede radicato nel suo tempo e un altro piede teso in alto, in un folle volo, come a promettere qualcosa di migliore.
Qualcosa che ci fa sperare. Lo seguiremo.