Qualche giorno fa ho assistito allo spettacolo teatrale di Vincenzo Mollica: “L’arte di non vedere”. Il giornalista ci ha accompagnato, tenendoci per mano, attraverso la sua immensa carriera artistica e professionale. In due ore io ho compiuto davvero un viaggio catartico, emozionale e intimo. E’ incredibile come la maggior parte degli aneddoti, dei racconti, dei nomi che ha fatto abbiano avuto una rilevanza straordinaria e formativa nella mia vita personale che poi ha coinciso con quella professionale.
Vincenzo Mollica ha iniziato il suo monologo parlando di Franco Battiato, un artista che ho imparato ad apprezzare fin da bambina e che ancora oggi mi stupisce. Le sue melodie e le sue parole hanno creato legami indelebili tra la sua musica e i miei ricordi personali.
Ha mostrato filmati di interviste ad Alda Merini che mi hanno commosso fino alle lacrime. La mia empatia nei confronti di questa poetessa è qualcosa di straordinario, la sento vicina come se l’avessi conosciuta. Sento i suoi sentimenti che si insinuano dentro i miei per aprire ma anche per lenire qualche ferita con quell’unguento magico che solo le sue parole riescono a spennellare sul cuore. Mentre guardavo il filmato pensavo a quanto fossi stata fortunata ad essere entrata in contattato con la sua poesia. A sentirla come compagna di inquietudine e turbamenti.
E poi Mollica ha raccontato e mostrato interviste ad Andrea Camilleri. Credo di avere letto tutto di questo uomo. Credo di avere ascoltato ogni sua intervista, di avere sviscerato ogni suo concetto, spesso cercando di farlo mio.
Pazzesco come vincenzo Mollica…
abbia potuto inanellare i miei miti, lui, mito a sua volta.
Sì perché quando ero ragazzina e lo guardavo in televisione mi chiedevo come questo giornalista riuscisse a cogliere l’umanità di chi intervistava creando un tale valzer di sinergia comunicativa che mi ipnotizzava. Deve essere lì che ho deciso che avrei voluto fare il lavoro che faccio, tra discografia e giornalismo.
E quel valzer, l’ho rivisto l’altra sera al Teatro Arcimboldi.
Nel suo spettacolo, sul quel palco dove lui era da solo, seduto ad un tavolo coperto da una lunga ed elegante tovaglia di raso color oro, è riuscito a farci vedere vivi, al suo fianco personaggi che roteavano in un caleidoscopio di colori, di glamour, di semplicità.
Ha raccontato storie avvincenti che mi hanno fatto sognare, a tratti versare qualche lacrima perché sono ritornata per due ore quella ragazzina che si beava di ascoltare e guardare in televisione celebrità che brillavano come stelle scintillanti sul palcoscenico della cultura artistica.
Vincenzo Mollica, Maurizio Costanzo, Enzo Biagi, Gianni Minà e i giornalisti di spettacolo di allora erano narratori che ci guidavano attraverso questo affascinante universo
Le interviste non erano solo notizie ma incontri avvincenti che ci facevano sentire più vicini alle icone che ammiravamo. Quei giornalisti sapevano di portare alla luce il lato umano di queste star apparentemente inarrivabili. Immersi in un mondo privo di Internet e social media, il giornalismo di spettacolo degli anni ’80 era la nostra unica finestra aperta sulla vita delle stelle.
Le interviste erano avventure, dove le domande non erano solo sull’ultimo progetto cinematografico o musicale, ma sulla vita di queste celebrità. Erano dialoghi che ci facevano ridere, emozionare.
Per gran parte della narrazione di Mollica, per quei filmati con Federico Fellini, con Fabrizio De André, con Lucio Dalla, con Adriano Celentano ho sentito un magone nostalgico salire dalla bocca dello stomaco fino alla gola costringedomi a deglutire per ricacciare giù quel sentimento malinconico che in qualche occasione si è trasformato in lacrima da asciugare.
Gli anni ’80 sono ormai lontani eppure quel giornalismo di spettacolo ha lasciato un’impronta indelebile nei miei ricordi.
Quel giornalismo era un viaggio nella fantasia, nell’approfondimento dei pensieri, nella conoscenza e nella psicologia umana.
Durante lo spettacolo Vincenzo Mollica ha detto la frase delle frasi, un vero e proprio aforisma: “Fare servizio pubblico significa fare domande vere, non preconfezionate, ascoltare le risposte, fare una chiacchiera…”
Oggi non è assolutamente più così.
Oggi si strilla, si insulta, si seguono i dettami delle tendenze social, ci si piega alle esigenze promozionali degli artisti, a volta ci si piega all’artista stesso.
Quel giornalismo, quel garbo, quella cultura, quell’educazione, quel senso del rispetto, quella capacità di sviscerare i temi, quel sentimento condiviso, quell’empatia, mi dite dove li possiamo cercare?
Quello spettacolo, che l’altra sera in teatro ho tanto apprezzato, sembra appartenere a un’era perduta, che mi manca tanto.
Ecco perché mi è scesa qualche lacrima.